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Accordi Collaborativi: Un nuovo paradigma per il settore delle costruzioni
28 Aprile 2025

Dall’esperienza dell’Empire State Building alle sfide contemporanee: ripensare i modelli contrattuali per progetti edilizi più efficienti, come proposto nel position paper di GBC Italia e OICE che analizza soluzioni innovative per superare le criticità del sistema tradizionale

di Maria Chiara Voci

 

L’Empire State Building, a suo tempo l’edificio più alto del mondo, fu realizzato tra il 1929 e il 1931 in soli 18 mesi, compresa la demolizione dell’edificio preesistente. L’appalto, basato su una formula che oggi definiremmo Project Partnering + Cost Plus Fee, si chiuse con un risparmio su tempi e costi rispetto a quanto previsto dal contratto. Non si possono certo fare confronti con l’attualità: allora c’erano poche regole e abbondante disponibilità di manodopera a basso costo e senza regole stringenti sulla sicurezza. Tuttavia, l’edificio era enorme e i mezzi tecnologici disponibili non erano paragonabili a quelli attuali: per questo, l’Empire State Building resta ancora oggi una dimostrazione storica delle potenzialità offerte da modalità contrattuali che, nella modernità, chiameremmo “Accordi Collaborativi”.

Queste tipologie contrattuali, basate su principi di trasparenza (open book) e di collaborazione, hanno avuto larga diffusione negli USA e nel mondo anglosassone a partire dalla seconda guerra mondiale, e, ancor più nel mondo delle costruzioni contemporaneo, il ritorno a un approccio di collaborazione strutturata fra tutti gli attori del processo edilizio rappresenta la strada maestra per riuscire a gestire con efficienza in termini di qualità, tempi e costi, edifici sempre più complessi e che richiedono l’intervento di numerose figure professionali con competenze specialistiche diversificate. Un tema su cui si è concentrato il position paper “Accordi Collaborativi, documento di ricerca realizzato da GBC Italia in collaborazione con OICE, coordinato da Eugenio Kannès, CEO di Brioschi Sviluppo Immobiliare SpA e sviluppato con il contributo di numerosi esperti, che hanno messo a fattor comune competenze tecniche, giuridiche e gestionali per delineare un nuovo paradigma contrattuale. 

«Si parla spesso dell’esigenza dell’innovazione tecnologica per il settore delle costruzioni – spiega Kannès – ma si pone meno attenzione all’innovazione di processo, che è altrettanto importante. In particolare, il tema della contrattualistica è spesso sottovalutato, mentre è evidente quanto sia importante in un settore caratterizzato da una filiera lunga, in cui il prodotto nasce dall’interazione di molti soggetti diversi, e il risultato non può prescindere da come sono regolati i loro rapporti. Definirli correttamente consente di lavorare in modo più fluido e organizzato». Proprio l’osservazione dei limiti e delle criticità dei c.d. contratti “a corpo” (che da anni costituiscono uno standard quasi unico), basati su progetti esecutivi sviluppati senza il coinvolgimento della filiera produttiva, rende evidente l’esigenza di ripensare i modelli contrattuali su cui fondare gli interventi. 

«Le lacune dei progetti esecutivi così come il mancato coinvolgimento nella fase di sviluppo delle imprese generali e specialistiche e dei produttori di componenti, che sono i veri detentori del know-how tecnologico – costruttivo, costituiscono una fonte costante di problemi in sede realizzativa – prosegue Kannès. Un problema particolarmente accentuato in Italia,  in conseguenza delle poche risorse dedicate alla fase progettuale, ma presente anche all’estero in paesi storicamente più attenti all’approfondimento del progetto, probabilmente a causa della maggiore complessità tecnologica delle costruzioni attuali, soggette a una normativa sempre più articolata, alla richiesta di performance sempre più spinte e alla ricerca di una costante originalità architettonica». Se – come indica il successo dell’Empire State Building – la soluzione risiede nella capacità di collaborare e di coinvolgere le imprese nello sviluppo del progetto, al contrario «negli ultimi decenni ciò che è accaduto è un progressivo irrigidimento dei rapporti contrattuali, con conseguente, inevitabile, conflittualità, allungamento dei tempi, aumento dei costi e scadimento della qualità».

Come acutamente osservato da David Mosey nel suo “Early Contractor Involvement in Building Procurement“: «In nessun’altra industria importante la responsabilità della progettazione è così separata dalla responsabilità della produzione».

Ecco allora che gli Accordi Collaborativi rappresentano un tentativo di trovare alternative più virtuose alla consolidata forma contrattuale dell’appalto a corpo sulla base del progetto esecutivo, soprattutto per interventi di una certa dimensione e complessità.

«Si tratta di un modello contrattuale fondato su due principi fondamentali, collaborazione e trasparenza», spiega Kannès «e su due strumenti operativi tra loro collegati: da un lato, il Project Partnering ovvero il coinvolgimento delle imprese e dei produttori di componenti  nella progettazione, per sfruttare il loro  know-how tecnologico e responsabilizzarle pienamente rispetto all’adeguatezza del progetto esecutivo. Dall’altro, l’Open Book – Cost Plus Fee, ovvero una modalità trasparente di formazione del prezzo e di gestione dell’appalto, necessaria perché il Project Partnering implica l’affidamento degli appalti su basi progettuali meno definite».

In questo sistema, il contratto non si basa su un prezzo chiuso, ma su un prezzo obiettivo (“Target Price”), che l’impresa si impegna (best effort), ma non si obbliga, a rispettare e possibilmente migliorare, e un tetto massimo di spesa (“Guaranteed Maximum Price”) che l’impresa non potrà comunque superare, assumendosene il rischio. Il costo finale dell’opera viene determinato in corso d’opera applicando ai costi diretti delle lavorazioni, frutto di un processo di acquisto (procurement) dei fattori produttivi (subappalti, forniture in opera, materiali, noli, ecc.) svolto in modo trasparente dall’impresa con la partecipazione del committente, la c.d. “Fee”, ovvero un compenso prestabilito richiesto dall’impresa a rimborso dei costi indiretti di cantiere, delle spese generali aziendali e di un determinato utile atteso. 

Per incentivare l’impresa a contenere e ottimizzare i costi, viene inoltre prevista una «Incentive Fee», ovvero una ripartizione percentuale tra committente e impresa dei risparmi conseguiti rispetto al prezzo obiettivo.

«È un sistema win-win – prosegue Kannès -. L’impresa ha un utile garantito e riconosciuti tutti i costi diretti, e sa di poter ulteriormente incrementare il proprio utile quanto più collaborerà con il committente e con i progettisti, e sarà capace di dare un contributo per ottimizzare il progetto e di contenere i tempi di realizzazione. Il committente beneficia di maggiore trasparenza e riduzione dei conflitti, mentre l’intero progetto guadagna in termini di qualità, adattabilità a imprevisti e/o varianti in corso d’opera (spesso necessarie per esigenze commerciali), compressione dei tempi e conformità ai criteri ESG. Gli Accordi Collaborativi favoriscono inoltre l’innovazione di prodotto, perché consentono un maggior dialogo con tutta la filiera produttiva e l’introduzione nel progetto di tecnologie Off-Site

In un settore che deve fronteggiare sfide sempre più complesse, dalla sostenibilità ambientale all’innovazione tecnologica, gli Accordi Collaborativi rappresentano dunque non solo un’evoluzione contrattuale, ma un cambiamento culturale necessario per allineare il mondo delle costruzioni ad altri settori industriali più avanzati, promuovendo un’edilizia più efficiente, trasparente e orientata al risultato.